venerdì 25 maggio 2012

JAM SESSION

Headcuts one, Katzuma
Quando ero una giovane e stronzetta liceale, studiavo basso elettrico in una scuola di musica moderna. Oltre al solfeggio "ritmico" (non quelle lagne da conservatorio) e a suonare da spartito, ci insegnavano a "ricacciare" note e accordi dei brani (ma se nasci col mio orecchio c'è poco da fare), a riscrivere la metrica del pezzo (i clap clap di mani dove li piazzi? quel charleston lì? quella cascata di monetine là?). Ma la cosa più figa (e per me anche terrificante) era l'improvvisazione. Non è che ci buttavano lì, bassochitarratastierabatteria e via. Prima si studiavano gli standards jazz, le strutture, gli accordi etc ma poi... 1–2, 123!!! Io finivo per ripetere sempre gli stessi fraseggi per paura di sbagliare (ci sarà un motivo se ho smesso, non era per me guys!). Ma quando il tutto funzionava era esaltante, quando crescevamo tutti insieme, o ci si rispondeva, quando gli strumenti sembravano un solo strumento divino e c'era quell'atmosfera collosa, provavo un brivido che solo la performance teatrale mi fa riprovare... le arti dal vivo sono speciali. 
 Ora, io ho un pessimo orecchio e zero talento musicale. Basti dire che all'insegnante di improvvisazione (un chitarrista jazz coi controc***) portavo le mie poesie da leggere anziché miei spartiti, e mi facevo consigliare dei libri anziché dritte sullo strumento. Ma quest'esperienza è stata fondamentale per la mia riflessione estetica, fino ad oggi. E se ora vi parlo di jam session è soprattutto quella scuola che devo ringraziare, i suoi insegnanti, i suoi allievi -allora erano quasi solo maschi!- e naturalmente i miei genitori che mi ci hanno mandato -se mai avrò figli, ricambierò il favore-.
A differenza della maggior parte dei gggiovani di oggi, ho scoperto prima il jazz dell'hip hop. Si potrebbe dire che ho ripercorso la storia musicale dal verso giusto. Non proprio: il funk l'ho riscoperto ancora più tardi, precisamente a Parigi guardando i film della Blaxpoitation.
Jazz, Jam session, funk, hip hop, Bologna. Here we are.  

Faccio pubblicità senza riserve a questo locale bolognese, perché ci tira proprio un'aria buona: il Chet's music club in via Polese. Scendi sotto e ti ritrovi in un clubetto insonorizzato, luci basse, qualche tavolino, il bancone e un palchetto: basso, piano (volendo) e batteria. Strumenti a fiato secondo occasione. E naturalmente i piatti di dj Lugi, la freschezza in persona. Guardarlo suonare è un pò come guardarlo ballare, e inizi a muoverti per forza pure tu, e inizi a sorridere... O in caso contrario inizia a chiederti se sei già morto a tua insaputa, e prova a rinascere con questo video, che fa bene alla salute: 

Lo scorso martedì al Chet c'era anche Deda aka ChicoMD aka Katzuma, mostro sacro dell'hip hop italiano, da anni passato a superfighi progetti funk e dintorni
Insomma dj set e jam session, dall'aperitivo a mezzanotte. Per coronare l'atmosfera, in fondo alla saletta ci sono vinili in vendita.

(e, udite udite ladies, la toilette è davvero bella e pulita, e almeno finora zero fila!)

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