venerdì 13 giugno 2014

La Street Art di Gulliver (guida urbana #5)

Il viaggio urbano di Gulliver | London Street Art


Non andavo a Londra da quando ero così piccolina che credevo di aver capito quasi tutto della vita.
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Il punto è che a Londra non smetti mai di sentirti piccolino. Pensate alle distanze: magari ogni giorno attraversi l’equivalente di 3 città solo per tornare a casa. Oppure alle altezze: a Londra lo skyline cambia di continuo, con grattacieli che vengon su comeschegge. O ai numeri: quanti passeggeri in questo istante nella Tube? Quanti bocconi di street food, di quante cucine del mondo? Un gigantesco formicaio, e noi i minuscoli inquilini. Ecco allora dove potete seguirmi oggi… nel percorso dialettico tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Se non vi bevete la storia che l’uomo è misura di tutte le cose, potete godervi le sublimi vertigini della percezione! Buon viaggio attraverso le sproporzioni di questa metropoli, tra murali giganti e stickers di 6 pollici.
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martedì 3 giugno 2014

Le fashion bloggers italiane non sanno quel che fanno

Scrivere questo post era quasi un dovere civile, o almeno uno scrupolo deontologico, perché dovete sapere che:

Ogni volta che una figlia di papà apre un fashion blog, un filosofo muore. 
(o si tappa il naso e prende appunti, se è proprio proprio foucaultiano)

Il fatto è che in Italia non sembrano essersene accorti in molti, ma
di Moda si può anche scrivere seriamente.
E qui potrei aver spiazzato qualcuno, quindi faccio un passo indietro:
di Moda si può anche scrivere (che è quell'attività che riempie lo spazio tra una foto e l'altra)


Insomma ci sarebbe tanto da dire su uno dei fenomeni più pervasivi -e invasivi- della nostra cultura: la moda chiama in causa le riflessioni sul corpo, sull'identità di genere, la sociologia, l'estetica, la psicologia, l'arte, il design, l'ecologia, la pubblicità, la politica, le subculture etc etc... Allora fa un pò sorridere (o innervosire) che proprio chi sta tanto ad osannarla sul suo blog, la riduca ad un poserismo che incarna i migliori clichés della donna bianca bourgeoise (dalla principessa alla suicide girl).


Si chiamano fashion blogger ma fanno le PR.

Immaginatevi se Socrate andasse a domandare alle fashion bloggers "che mestiere fai?" o "cos'è fashion?". Capirebbe subito che quelle manco sanno di non sapere di cosa stanno parlando. La maieutica socratica non può nulla contro la dialettica marzulliana della fashion blogger:

Ciao ragazzi,
come primo post ho pensato di scrivere qualcosa su me stessa. Ma quanto è difficile parlare di se stessi,senza essere noiosi e scontati! (...) quindi ,sapete cosa ho deciso di fare? Mi “auto-intervisterò”, chiedendomi tutto ciò che ho sempre desiderato mi chiedessero in una ipotetica intervista di moda.
D:perché un fashion blog?
R:oggi è il modo più veloce e diretto per far “sentire la propria voce”,in un mondo dove la concorrenza dal punto di vista giornalistico è spietata,e perché diventi automaticamente la “redattrice di te stessa”.
                                                                                [Ho citato dal blog 'affashionate' o qualcosa del genere.]
[le iniziali D e R stanno per domanda e risposta, commovente.]
[Il rosa è il mio tributo all'estetica barbie delle fashion blogger]

Ma non mi sognerei mai di addossare tutta la colpa allo star system o ai media mainstream, al marketing della moda o al target adolescenziale. Io me la prendo anche con l'Università del nostro paese, che ancora non sa dare spazio ai cultural studies, figuriamoci borse di dottorato per studiare la rappresentazione della donna nella pornografia, o l'evoluzione del lettering nei graffiti o ancora l'appropriazione culturale in atto nella moda (a meno che tu non sia raccomandato, in quel caso non ti serve nemmeno un progetto di ricerca).
Se non formiamo critici brillanti, ci ritroviamo con degli improvvisatori che fanno leva sul nostro lato più infantile -quello che posava davanti allo specchio con i vestititi della mamma e impiastricciato di rossetto. Se ci aggiungi che il nome famoso basta da solo a tirare avanti un blog sul nulla, ecco pronta la prima ricetta: una star vestita dallo sponsor che si fa gli autoscatti aggiungendo dritte sullo stile chiacchiere così insulse che in confronto la parrucchieria di Castel di Lama ti sembra un'aula della Normale di Pisa.
La seconda ricetta è 'w la democrazia della rete (e chi se la beve)': il modello aspirazionale della ragazzina che hai fatto emergere tu con i tuoi like (e che potevi quasi essere tu, se la ruota ti girava meglio). Molto meno costoso di una Scarlett ma ugualmente efficace per le vendite.


Apriamo gli occhi!


Mi trovate una fashion blogger nostrana che si interroghi su immagini come questa? 
Non credo serva un master in semiotica per capire che qui stanno agendo stereotipi etnoculturali e ideologie.. sarebbe interessante analizzarli, smascherarli invece di limitarsi a metterceli addosso il sabato sera, no?

O ancora: ci fosse qualcuna che mentre gioca a fare la punk con le creepers (ignorando i teddy boy), o la 'black' originaria di un'Africa creata dagli art director, ponesse ai suoi lettori quesiti come:                                                                                                                                          ?Cosa rimane di una subcultura quando viene fagocitata dal sistema della moda e quali aspetti resistono a questo tipo di appropriazione?                                                                                                                                 ?Cosa ci guadagna l'artigianato indonesiano quando l'alta moda gli prende in prestito fotte il design tessile del plaid?

[Se vi interessa questo modo di riflettere sulla moda vi rimando ad un interessante articolo di Minh-Ha T. Pham, una che il topic 'fashion' lo prende seriamente.]

Un fashion blog potrebbe interessarsi di teoria dei colori, o approfondire la ricerca sul design e i materiali, un altro soffermarsi sui modi di produzione dietro l'industria della moda... ma soprattutto fare un coolhunting che non sia un mero coolfollowing, o una selezione curatoriale che non avrebbe saputo fare anche una 16enne in fissa con pinterest.
E se di recensioni si tratta, allora che rispondano ai requisiti minimi di ogni recensione! Ma ve lo immaginate un blog di recensioni di cinema o letteratura che si risolvesse in una serie di sconclusionati consigli per gli acquisti? 

"Ragazze, questo film è assollutamente da non perdere, perché io l'ho davvero adorato!"
"Con quel libro sul comodino farete un figurone, parola di stylist!"
"e mi raccomando evitate i filosofi pessimisti che sono out e vi accentuano le occhiaie!"

Ora... io lo so perché i blog di moda li seguiamo anche se non dicono nulla... perché ci sono le figure! Allora vorrei tirare in ballo il concetto di Biblia pauperum per muovere una critica anche al pubblico del fashion blog made in italy: non ci possiamo far bastare narrazioni per immagini e stereotipi, perché non siamo analfabeti e niente ci impedisce il pensiero complesso. Chiediamo di più e magari un giorno avremo di più!

In fondo era qui che volevo andare a parare: consumo critico di fashion blog.
Con i blog di moda si può fare di meglio, ma noi come lettori dobbiamo farci più conscious e iniziare a pretenderlo.