venerdì 16 ottobre 2015

ZacBaum

I margini della citta' sono le sue soglie di accesso... E' la periferia, non il centro, che tocca il resto del mondo e ne trasmette il riverbero. Domani a Bologna ‪‎ZacBaum ridisegna i confini come luoghi di contatto: il futuro non l'abbiamo ancora fatto, ma sara' una porta aperta. 


lunedì 12 ottobre 2015

Sorpresa!

Patate&Cipolle non e' piu' solo un blog. Forse non lo e' mai stato, visto che la sua autrice ha sempre peccato di attivita' social e PR, rifugiandosi nell'underground di forma e contenuto. Da qui veniva il nome: Patate e Cipolle, bonta' rude e semplice. Anche il nuovo sito e' un'autoproduzione, con tutte le sbavature del caso (mi piace ancora cosi') ma sono sicura che vi potrete godere meglio le storie e la scrittura.




lunedì 5 ottobre 2015

Il fantasma di un amore fa


Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno. J.L. Borges

Enrico ed io ci siamo conosciuti a Firenze ed è stata proprio la sua scultura a portarmi a Carrara. Ammetto di essermi servita di lui negli ultimi mesi -soprattutto del suo sguardo, per guardarmici dentro. Ma in fondo si trattava di un uso lecito, visto che Enrico lavora sull’empatia. E come?

Dare corpo al mondo interiore e anima alla scultura, muoverla della vita fluida dei nostri stati metamorfici. Se mi scolpissi oggi, che scultura sarei?

Le ricerche sui neuroni-specchio ci parlano di un meccanismo neurofisiologico di ‘rispecchiamento’ che mappa le azioni osservate sugli stessi circuiti nervosi che ne controllano l’esecuzione. Percepire un’azione e comprenderne il significato equivarrebbero a simularla internamente. Un po’ quello su cui il teatro gioca da sempre: il corpo è la base del nostro rapporto con gli altri, perché è capace di risuonare col corpo degli altri. Partendo da queste intuizioni Enrico lavora sulle espressioni facciali, le tensioni muscolari e i movimenti per farci sentire cosa c’è dentro, dal momento che emozioni come il dolore o sensazioni come quelle tattili si attivano quando si assiste alle esperienze altrui. “Così ho iniziato a lavorare sui miei sentimenti, su come passavano fuori. I miei lavori riflettono il modo in cui mi vivo le cose, quello che provo a livello fisico –le emozioni, i sentimenti. Quello che vedo è quello che sono”.

S. è stata il suo primo amore. Quando la loro storia era già finita, Enrico ha sentito il bisogno di ritrarre… il suo ricordo. E ad un certo punto S. non era più S.: “Non c’era più lei, c’ero io”. Una metamorfosi.

Fino a poco tempo fa Enrico era un modellatore più che uno scultore. Per le sue opere utilizzava il gesso o l’argilla. Stavolta invece il calco a perdere in gesso armato gli è servito per affrontare il marmo. Ha scelto il Rosa Estremoz del Portogallo, che una volta lucidato ricorda la tonalità della pelle: “Volevo dare più valore al passato, regalargli un futuro roseo”. Sono passati anni dall’ultima volta che l’ha vista, per quel che ne sa S. potrebbe anche aver cambiato volto, ma questo non conta se sei un idealista platonico. L’intenzione dell’autore era quella di scolpire il bello in sé della vergine che voltandosi incontra per la prima volta l’amore. Noi spettatori siamo dall’altra parte, nello sguardo che la riconosce.

Raccontare una storia con la scultura, cogliere la magia di un attimo -un istante che non è temporale, tant’è che il viso si muove. Scultura dinamica? Io direi scultura drammatica, narrativa. Enrico sviluppa storie a partire dalle emozioni, dà vita ai suoi personaggi attraverso il puro movimento, e così facendo trasmette la stessa emozione al pubblico (passandogliela da corpo a corpo).

“Qualunque cosa facessi, sentivo che c’era sempre qualcosa che riaffiorava e mi attirava indietro, qualcosa che mancava. Così ho lavorato su quella sensazione”. Penso al mio filo nella pancia, so bene di cosa parla. Anche il mio filo tira, a volte mi trascina. La differenza è che Enrico non ha paura di guardare al passato, sentirne il richiamo… tramutarlo in qualcosa di bello. La discussione mi scivola di mano, dalla poetica alla vita: “Ma come puoi essere così accondiscendente verso la tua nostalgia? Concederti di idealizzare un amore??”

Non è d’accordo con me sul fatto che bisogna lottare per cambiarsi, per smettere di voltarsi. Non siamo d’accordo quasi mai. Per lui è tutta una questione di accettarsi invece. Lasciarsi essere, sentirsi… scoprirsi fin nel buio delle pieghe e dei vuoti.
Del resto che scultura saremmo senza chiaroscuri?

Ora posso confessarlo, è da qui che sono partita e forse è qui che dovevo arrivare. Un volto rivolto al passato, il fantasma di un amore fa. Affrontare il proprio blocco e dargli forma… ho visto questo all’opera nei laboratori di Carrara. Scrivere un reportage in fondo non è così diverso: è come scolpire la materia bruta del reale, sottraendo ancora e ancora per trovare le linee della storia. Si fa fatica. Ma coltivare il proprio sguardo sembra più facile sotto queste montagne, forse perché ci si è già liberati di un po’ di crosta, della superficie.

La scultura “per via di levare” scarta ciò che non serve per portare alla luce l’essenziale.

[estratto da Gli Scultori del Far West, il mio reportage sugli scultori di marmo di Carrara, pubblicato in 4 puntate su Bolognina Basement]